Articolo già pubblicato in una prima versione sulla rivista Liberal
Da oltre mezzo secolo mi interesso di musica classica. Ho avuto la fortuna di studiare pianoforte per nove anni, con una insegnante, Giulietta Irina Zambelli Kirpischeff, di origine russa. Giulietta, di padre italiano e madre nobile russa, era nata a Pskov, all’epoca della rivoluzione bolscevica; la madre era pianista e lei e le due sorelle pure studiarono pianoforte al Conservatorio di Leningrado, diretto per molti anni dal compositore Glazunov (che una volta avuto il permesso di recarsi in occidente, non ritornò nella Russia sovietica). Una sorella era avviata alla carriera concertistica, ma nei tragici anni Trenta in cui milioni di persone furono eliminate da Stalin, dal generale Tukachevsky ai contadini ucraini che rifiutavano la collettivizzazione, anche le tre sorelle e la madre fuggirono, per qualche tragico motivo di cui la mia insegnante mai volle parlare con me. In Italia si sistemarono vicino a Milano. La maggiore continuò in parte la carriera concertistica, divenendo l’ esecutrice delle opere pianistiche di Luciano Chailly (il cui figlio Riccardo, direttore ora alla Scala, abita vicino a casa mia), la minore, Giulietta, fu la mia insegnante. Da lei appresi non solo quanto so di pianoforte, un dono che mi ha accompagnato in giro per il mondo dove suono su qualunque pianoforte trovo, ma tante storie della Russia di un tempo, da quando in inverno i lupi ululavano attorno alla loro casa in campagna, alle vicende politiche del tempo di Lenin e di Stalin. Una famiglia religiosa, che veniva da una Russia dove oltre il 90% delle chiese fu distrutto o trasformato per altri usi. Dove Lenin dava 100 rubli ai membri di una squadra speciale per ogni pope ucciso, dove i 600.000 popi e monaci di prima della rivoluzione si ridussero a poche migliaia… e da lei, che parlava bene l’ italiano ma con il musicale accento russo, appresi questo accento, che mi fu utile quando studiai, purtroppo non quanto avrei voluto, questa lingua complessa e bellissima. Da poco ho saputo che la casa nobiliare dove abitavano, nella campagna vicino a Pskov, è divenuta un museo scientifico, in quanto gli avi di Giulietta nell’ Ottocento erano stati grandi scienziati.
Oltre che alla passione per il pianoforte, ho dedicato gran parte del mio ascolto di musica classica alle composizioni pianistiche, o per solo pianoforte o nei concerti, spaziando da Haydn a Hindemith. Ho ascoltato da disco tanti pianisti, da Rachmaninoff (che Rubinstein considerava il numero uno) a Gould e…. Molti grandi pianisti, ciascuno con il suo stile speciale, Rubinstein dal tocco nobilissimo, Arrau dal colore straordinario, Richter spaziante dalla potenza alla poesia,….. ed ho avuto anche occasione di incontrarne alcuni, in modo casuale, come Paul Badura Skoda, che faceva colazione in un albergo di Vilnius dove eravamo i soli ospiti…..e l’iraniano Bahrami, ora famoso in Bach, che alla stazione del mio paese chiedeva dove abitasse Riccardo Chailly….e nell’ attesa venne per un po’ di tempo a casa mia, dove gli mostrai spartiti a lui sconosciuti di compositori iraniani.
E’ un fatto curioso che quasi tutti i grandi compositori di musica siano uomini, pochissime le eccezioni e di non grandissimo rilievo, come Clara Schumann. Questa straordinaria donna fu moglie di Schumann, grandissimo compositore ma con problemi psicologici e neurologici che lo portarono al manicomio, e fu madre di una decina di figli. Fu concertista numero uno fra le donne del suo tempo e confrontabile con i migliori pianisti uomini, fu anche autrice di composizioni brevi, ma di grande bellezza e delicatezza, quasi un secondo Mendelsohn. Perché siano poche le donne compositrici non so spiegare, avendo le donne una sensibilità musicale non inferiore a quella maschile, e possedendo l’ orecchio assoluto con maggiore frequenza degli uomini. Ma a livello di esecutrici molte sono le donne, non inferiori in qualità agli uomini.
Fra le grandi pianiste del novecento mi erano note in particolare Alicia de Larrocha, straordinaria interprete mozartiana e della musica spagnola; fu scoperta da Herbert Breslin, il manager di Pavarotti, che dovette insistere per tre anni prima che lei credesse che il suo invito a suonare in America non fosse fasullo. E poi Guiomar Novaes, la brasiliana allieva di Backhaus, dalle mani piccole ma dal tocco sensualissimo, esecutrice dei schumanniani Studi sinfonici come da nessun altro ho sentito (Richter disse che mai osò suonare un certo pezzo di Schumann perché il suo maestro Neuhaus lo suonava in un modo insuperabile). E Clara Haskil, la grandissima mozartiana, dal corpo infelice, dalla mente e dal tocco aperti al sublime.
E’ stato con grande sorpresa che ho scoperto una grave mancanza nella mia conoscenza dei pianisti, e pianiste, del novecento. La scoperta avvenne quando discendevo a piedi verso il centro di Firenze dall’ Osservatorio di Arcetri. Ero reduce da un convegno, dove scoprii lo straordinario studio dell’archeologo Giuseppe Brunod sul cambiamento del numero di mesi dell’anno a fine quarto millennio avanti Cristo, da 13 a 12. Notai un negozietto di libri usati, vi entrai e trovai l’autobiografia di Shostakovitch. Un autore poco conosciuto da me, non particolarmente apprezzato (forse perché poco ascoltato: lo stesso Shostakovitch dichiara che scoprì la bellezza di Wagner solo dopo averne ascoltato il Lohengrin per nove volte). Lo comperai vedendo che si trattava di vari personaggi dell’ era sovietica, interessanti per me, sia per gli aspetti musicali che politici.
La lettura dell’ opera è stata affascinante. Shostakovitch conosceva ad esempio Tukachevsky, ne era amico e sopravvisse alla fucilazione del generale, che Stalin temeva perché era assai intelligente ed ammirato da tutti. Secondo Shostakovitch, se Tukachevsky non fosse stato eliminato, l’ Unione Sovietica non si sarebbe fatta trovare impreparata al momento dell’ attacco, imprevisto da Stalin, di Hitler. Conosceva poi tutti i grandi compositori dell’ epoca in Unione Sovietica, Borodin, Glinka, Rimski Korsakov, Khachaturian (una volta Stalin pretese che lui e il compositore armeno scrivessero un inno a quattro mani….) e soprattutto Glazunov, di cui ammirava la straordinaria memoria musicale, raccontando episodi simili a quelli che si dicono di Toscanini, De Sabata o Giuseppe Patanè. Ne basta uno qui. Un giorno in una certa casa era atteso un compositore che avrebbe presentato al pianoforte la sua ultima sinfonia. Glazunov si nascose in una stanza vicina con la porta chiusa. Terminata la presentazione della sinfonia, gli dissero: abbiamo un altro compositore che vuole farsi sentire. Glazunov si mise al piano e ripetè esattamente la sinfonia ascoltata. Shostakovitch parla con grande ammirazione di Musorgsky, anche se dichiara che certe parti del Boris Gudunov potevano essere migliorate, ma parla meno di Tchaikovsky e di Prokofiev.
E arriviamo a due pianisti di cui Shostakovitch parla con ammirazione, definendoli i più grandi, a parte Rachmaninoff, che era in una classe speciale. Uno è Sofronitsky, morto relativamente giovane, donnaiolo ed uso all’ alcol ed alle droghe; nome a me noto, ne acquistai dischi anni fa nell’ Europa dell’ Est. L’ altro è una donna, Maria Judina, nome per me assolutamente nuovo. Telefonai alla mia insegnante Giulietta, lucidissima anche se prossima ai 90, morì poco dopo, mi disse che li conosceva entrambi, e mi fa presente che l’ accento in Judina cade sulla u.
Maria Judina era ebrea (il nome lo fa pensare), nacque nel 1899, morì nel 1971, varie notizie si trovano su internet ed è da poco uscito, a cura di una scrittrice di Russia Cristiana, un libro su di lei. A vent’ anni si convertì al cristianesimo ortodosso, mai sposandosi per dare tutto il suo impegno alla musica ed alla difesa dei valori religiosi. Diplomatasi al conservatorio di Leningrado, ne fu espulsa, e poi anche da quello di Mosca, perché non aveva paura a proclamare i suoi valori religiosi ed a criticare le scelte antireligiose del regime. Era una pianista straordinaria, la cui tecnica fu considerata insuperabile da Richter, che si diceva intimidito da lei, e la cui originalità e profondità di interpretazione la rendevano un mito. Shostakovitch la conosceva bene, la ammirava pur considerandola un po’ stravagante, discutevano spesso dei valori religiosi, lei tentando di convertire lui ateo convinto. E qui racconto un episodio, riportato da Shostakovitch, che è quasi da brivido.
Una sera Stalin ascoltò alla radio il concerto K488 di Mozart, dal secondo tempo doloroso e meraviglioso, suonato dalla Judina. Telefonò alla direzione della radio per avere il disco con la registrazione. Gli dissero che glielo mandavano, anche se il concerto non era stato registrato. Richiamarono la Judina, che arrivò tranquilla, gli orchestrali, che arrivarono nervosi, e ebbero bisogno di tre direttori, per trovarne uno che non tremasse come una foglia. Quindi il disco in copia unica arrivò a Stalin. Dopo un po’ la Judina si vide premiata con il premio Stalin e con 20.000 rubli. E scrisse questa lettera, citata a memoria da Shostakovitch, secondo cui la Judina mai mentiva: vi ringrazio, Josip Visarionovich, per il vostro aiuto. Pregherò per voi giorno e notte, chiedendo al Signore di perdonare i grandi peccati che avete commesso nei confronti del popolo e del paese. Il Signore è misericordioso e vi perdonerà. Il denaro l’ ho dato alla chiesa che frequento.
Era una lettera da suicidio. Stalin la lesse e nulla disse. E la mise da parte. E a Judina nulla accadde. Il disco con il K488 suonato dalla Judina era sul giradischi di Stalin quando fu trovato morto nella sua dacia. Era stata l’ ultima musica che Stalin aveva ascoltato.